Buon giorno, Massimo Gramellini. La Stampa, 3 gennaio 2012

Un concessionario di moto s’impicca perché non riesce più a pagare i suoi dipendenti. Un pensionato si lancia dal balcone dopo aver ricevuto una lettera in cui l’Inps gli chiede indietro 5000 euro. E’ la Spoon River quotidiana di una crisi che più ancora dei poveri colpisce gli impoveriti, gettando nel panico coloro che si ritrovano sbalzati all’improvviso in una condizione di incertezza e non reggono all’onta di perdere il posto, l’azienda, la casa, la faccia.

Lo riconosco, è anche colpa mia. Sto maneggiando la paura con troppa scioltezza. E ogni racconto dello sfacelo in corso, pur sacrosanto, diventa un mattone di quel muro d’angoscia contro cui vanno a sbattere le menti più disperate. Anni di ottimismo becero e falsamente gaudioso hanno prodotto per reazione un realismo cupo e senza sbocchi, mentre è proprio in questi momenti che accanto ai ragionieri servirebbero i poeti. Possibilmente non apocalittici. Ormai i notiziari sono bollettini di guerra: tasse, licenziamenti, recessione. La radiografia della realtà, finalmente. Ma le radiografie, da sole, non hanno mai guarito nessuno. Ci vogliono le ricette. E le ricette migliori restano le storie di chi è riuscito a guarire. Indignarsi è sempre meglio che deprimersi. Ma meglio ancora è evolvere, andare avanti. «Questa società mangia tutti» ha detto il parroco ai funerali del concessionario impiccato. Come la paura. Prometto che d’ora in avanti il sottotitolo implicito di ogni mio articolo sarà: non lasciamoci mangiare.

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